Vi racconto di una settimana al mare del massaro ragusano degli anni 150 e ’60 del 900. Questa vacanza avveniva sempre nella prima settimana di agosto dopo aver terminato la trebbiature dei cereali.
Era necessario preparare almeno quattro carretti: uno contenente le biade per gli animali, il secondo veniva caricato con reti,materassi, pentolame, posate, ogni genere di vivande occorrenti per una settimana, il terzo e il quarto, ed eventualmente un quinto carro, erano adibiti al trasporto delle persone e delle rimanenti masserizie:
La carne veniva trasportata “viva” e consisteva in sette galline, polli, conigli, qualche agnellino, un piccolo porcello tutti allevati nella masseria. Sul posto si provvedeva alla loro macellazione secondo le necessità della giornata in quanto la carne non si poteva conservare per la mancanza di frigoriferi non ancora comparsi sul mercato.
Si partiva presto il lunedì mattino ancora con il buio e appena arrivati, scaricati i carretti e sistemate le masserizie e gli animali, si andava in spiaggia con i carri e, slegati i cavalli, ci si adoperava a formare una grossa capanna accostando i carri e stendendo sopra le aste alzate, grossi teli cerati per ripararci dal sole caliente di agosto.
Si dispiegavano i tavolini apparecchiandoli con tutte le derrate portate de case e cucinate per l’occasione ma, prima di pranzare, avevano l’accortezza di mettere in ammollo nell’acqua del mare, le angurie nell’illusione di assaporarle un pò fresche.
Dopo aver fatto rinfrescare gli animali facendoli entrare nell’ acqua del mare, che gradivano molto e di cui non avevano paura, si provvedeva dar loro la biada e finalmente incominciava il lauto pranzo “a scassa panza”.
Dopo la grande abbuffata, qualcuno prendeva sonno e trovato un cantucclo, s’addormentava anche russando diventando la vittima dei buontemponi che Inventavano scherzi, cone infllare nella bocca rimasta aperta un pessetto di legno o rinfrescarlo con un’abbondante secchiata d’acqua
Il malcapitato, intontito e sorpreso, veniva ulteriormente fatto vittima di altri scherzi, come il prenderlo mani e piedi e buttarlo in acqua o stenderlo nella sabbia bollente.
Verso l’imbrunire si attaccavano i cavalli ai carretti e ritornava al casolare, al centro del quale c’era un pozzo d’acqua sorgiva da cui attingere per l’uso in cucina ma anche per buttarla addosso a inconsapevoli paremti o su qualcuno che faceva il gradasso.
Per cene veniva cucinata generalmente la paeta asciutta con il sugo delle bottiglie portato da casa e insaporita con abbondante formaggio e ricotta salata, con sopra spesse volte alcune fette di melanzane fritte. Certe serate al preferiva consumare un’abbondante insalata di pomodoro, cipolla, pezzetti di formaggio semistagionato, basilico, il tutto annegato in abbondante olio di oliva extravergine ove inzuppare anche il pane.
Dopo aver cenato, ei dava libero sfogo ai passatempi:: chi giocava a carte, chi ballava al suono di una fisarmonica che intonava valzer, polka, mazurca, tango e c’era chi continuava a fare scherzi mentre noi ragazzini ci dedicavamo ai nostri giochi preferiti come nascondino, mosca cieca, il salto con la corda oppure semplicemente a rincorrerei e scherzare, oppure guardavamo i grandi ballare nella speranza d’imparare.
Come passavano in fretta le giornate di quella magica settimana! E come imploravamo gli adulti affiinché allungassero ancora quella indicenticabile vacanza! Ma si doveva ritornare alla masseria dove erano rimasti i garzoni ad accudire il bestiame.
Autore: Pippo Tumino
Dipinto: Mario Occhipinti olio su pannello cm 30×40