Senza felicità ma felici lo stesso

Mio padre visse a Milano. Vendeva tessuti da Galtrucco. Stacchi di pelo di cammello e sete. Sarebbe voluto essere Rodolfo Valentino, il suo viso ne ricordava i tratti. Metteva colli di pelliccia ai cappotti e lisciava i suoi capelli dividendoli con una riga centrale, gli occhi febbrili e come bistrati. Si ammalò di nervi. Credette di doverne morire. E allora cominciò a pregare. Era magrissimo e non sapeva più mangiare, ma triturava preghiere, Dio lo aveva salvato. Camminava per le vie di Brera con i suoi amici pittori, molti siciliani. La notte stavano a guardare i barboni nelle strade e sostavano in vie strette e nebbiose. Finì i soldi che la madre gli aveva donato, la madre povera e vedova. Lui pensava al padre morto giovanissimo, agli schiaffi duri che aveva ricevuto, ai dolori procurati, alle difficoltà del vivere, alla morte troppo precoce, all’amore spezzato. Crebbe con la forza nel corpo e la sottile follia della mente. Lavorava tanto, instancabile. Conobbe mia madre a fine guerra, in una Messina devastata. Lei bella e mora. Elegantissimi, passeggiavano fra i muri e la polvere della città. Andarono a Napoli in treno, lui cantava. Lei sorrideva e stava in pose mai negligenti, la falcata del passo e la banda sull’occhio dei capelli neri. Era solo l’inizio di un pentimento futuro. Lui la amò sempre. Diceva. Lei forse no. Ma gli stette vicino e ci abbracciava tenendoci le mani quando lui gridava e minacciava. Eravamo noi, in ogni istante. Noi. Senza felicità, ma felici lo stesso. Con il tremore e le paure della notte, con le canzoni e le case che aveva desiderato, con la bellezza e i libri che teneva sulle gambe, con le sfuriate improvvise e i giornali che sembravano volare fra le sue mani. Non teneva orologi, aveva pochi soldi in tasca, faceva la spesa tutti i giorni tornando trafelato e con gli occhiali rigati di pioggia. Passeggiava nelle strade di campagna pregando a voce altissima, i cani delle masserie gli andavano incontro, gli odoravano le dita, guidava agitato e comprava auto eleganti. Avevamo una vita piccola e nostra. Crescevo. Pensando di perdere tutto. Lui e lei. E il mio letto e la mia casa sulla vallata. Guardavo le nuvole sospese sui monti aspettando venisse il natale. Le sue camomille non bastavano a calmarlo, i giorni erano sempre diversi, o forse troppo uguali. Mia madre metteva il rossetto e usciva, insegnava. Lui la guardava e le scostava la ciocca sulla fronte. Poi dimenticava.

Autore: Letizia Di Martino

Dipinto: Simone Favero