Zietta mia

Guardo spesso la tua foto in soggiorno che mi guarda e sorride: anche attraverso una cornice sai infondere serenità. Non ci sei più da tanti anni zietta; di te mi sono rimaste delle foto, qualche VHS inutilizzabile, un paio di orecchini e un immenso vuoto. Il tuo vero nome era Orazia, ma per tutti eri Graziella ed eri il pilastro fondamentale di tutta la nostra famiglia, invidiata da tutti. Eri una donna eccezionale, pacata, conciliante, mai una parola di troppo, intelligente, sebbene non avessi studiato oltre la terza media. Eravamo sempre insieme, non ricordo un momento della mia infanzia o della mia adolescenza senza di te. Il ricordo più vivido è una giornata normale trascorsa insieme e vede te che non eri pronta (come sempre!) e allora ti affacciavi dal balcone e dicevi: < Un minuto e scendo! >. Quella frazione di tempo si dilatava ma, appena entrata, chiedevi scusa e io ti guardavo rapita, perché sembravi una diva del cinema, elegante, impeccabile ma mai eccessiva. Facevamo compere o commissioni insieme e, dopo aver terminato, tornavamo a casa tua per l’immancabile caffè. Lì si compiva il tuo “rituale”. La scena sempre uguale appena entrati in cucina è ancora vivida nella mia memoria e sarà per sempre indelebile, non per la sua straordinarietà, trattandosi di gesti quotidiani, ma per il calore che ne rievoca il solo pensiero. Ci facevi accomodare, accendevi la macchina del caffè, prendevi il barattolo della miscela dallo sportello della cucina, ne estraevi il cucchiaio dall’interno, riempivi il braccetto portafiltro e lo incastravi alla macchina per l’espresso. Poi prendevi le tazzine, i piattini e gli immancabili biscotti o dolci che di settimana in settimana preparavi in casa, premevi il pulsante e con una mano tenevi fermo il manico del braccetto, in attesa che il rivolo nero del caffè scorresse dentro la bianca porcellana della tazzina. Dopo averci servito, prendevi il sacchetto del pane che, come si usava un tempo, il panettiere consegnava per le strade o, in assenza, all’ingresso del palazzo facendosi aprire da un altro condomino e ne spezzavi un pezzetto per mangiarlo, prima di fare il tuo caffè. E’questo il ricordo più vivido impresso nella mia mente e che mi manca non vedere più. Ad accompagnare la nostra pausa caffè non mancavano mai i commenti sul vestito acquistato, le chiacchiere sui nostri progetti domenicali o la mia richiesta della ricetta di quel dolce che avevo trovato squisito e semplice. Ancora oggi preparo la ciambella bicolore o gli amaretti seguendo le tue ricette trascritte in una vecchia agenda e, attraverso dosi, procedimenti e ingredienti faccio rivivere ancora un pezzo di te. Poi, improvvisamente il glioblastoma, che ti ha logorato giorno per giorno. Nonostante la tua tenace lotta, come una candela che esaurita la cera si spegne, te ne sei andata stanca e sconfitta in una calda giornata di giugno del 2005. Da allora non mi resta che custodire nel cuore i ricordi di quei momenti di felicità.

Autore: Lorena Galfo

Dipinto: Mario Occhipinti