Legami di sangue

La stanza dalle pareti alte e strette era in penombra e intrisa di un silenzio rimbombante o forse era il gonfiore sulla sua fronte a farlo sembrare così tanto fragoroso. La testa le pulsava, gli occhi non smettevano di lacrimare e il corpo tremava di una paura che la rendeva inerme.
Si sentiva disorientata, ma provò a ripensare a come fosse finita lì, a contatto con il pavimento freddo e bagnato, tutta dolorante e con le mani intrise di un liquido dall’odore simile a ferro arrugginito.
Un frammento di ricordo le riportò alla memoria una mano che stringeva una bottiglia di vino e l’altra, dalla stretta vigorosa, che le cingeva la testa e la scagliava ripetutamente contro il muro.
La bambina si poggiò una mano sulla fronte, l’avvicinò poi davanti agli occhi e sussultò. C’era sangue. E, intorno, ce n’era dappertutto.
Di colpo, un’ondata di nausea le invase le viscere, attorcigliandole, e l’orrore le inondò la mente con una potenza inaudita.
Da qualche parte, in lontananza, sentì la voce di suo padre urlare il suo nome. La stava chiamando.
La piccola provò ad alzarsi, ma le girava la testa, cadde in ginocchio e si rannicchiò. Singhiozzava in silenzio mentre si asciugava il viso bagnato di lacrime miste a sangue. I contorni di ogni cosa intorno a lei apparivano sfumati, lievemente indistinti, e si sentì sopraffare da un torpore simile al sonno.
Ma quella voce sbraitante che seguitava a chiamarla non le permise di abbandonarsi all’oblio: la porta della stanza si aprì improvvisamente e il terrore si stagliò dritto di fronte a lei.
Padre e figlia si ritrovarono con gli occhi dentro agli occhi.
<>, farfugliò, attonita, la bambina. E la sua fu un’esclamazione disincantata. Nei suoi occhi si leggevano delusione, sfiducia e un senso enorme di vuoto.
Il padre le si avvicinò, prese a strattonarla, le avvinghiò i capelli e la trascinò fuori dalla stanza fino a farle percorrere il lungo corridoio che conduceva al portone d’ingresso. Poi la liberò con una spinta energica e decisa scaraventandola a terra e la sua piccola testa sbatté forte sul pavimento.
A fiotti, sangue nuovo le imbrattò il viso, delineando i contorni dei suoi lineamenti, le finì in bocca e, percorrendo la gola, andò a morirle dentro le viscere.
E mentre sentiva che i sensi l’abbandonavano, riuscì a cogliere l’urlo raccapricciante di sua madre in preda al panico.
Quel suono alto e acuto l’avrebbe ricordato per tutta la vita come un marchio scolpito a fuoco sulla pelle e, tutte le volte in cui avesse posato gli occhi su di esso, lo avrebbe sentito bruciare ancora intensamente.
Poi, finalmente, l’oblio.

Ripresi coscienza in ospedale, ma il trauma psicologico non tardò ad arrivare.
Il buio, però, mi permise di comprendere che troppa luce fa male, abbaglia, illude e il tempo mi consentì di perdonare mio padre.
Quella me bambina la porto nel cuore e la custodisco come il più prezioso dei tesori.
Ha avuto cura del regno delle tenebre e oggi fiorisce.

Autore: Zina Fehri

Dipinto: Ilenia Madaro