Pagine con la consistenza spessa e croccante, propria della carta quando è intrisa di parole, luce e pensieri.
Le dita affusolate premono sui fogli color vaniglia come sui tasti di un pianoforte. La mano grande si strofina suadente contro le pagine lasciandole ondulate, sazie, grasse.
Sui fogli, man mano che li riempie, segna sempre il numero. Chissà se è una sorta di richiamo all’ordine o piuttosto l’irriverente tentativo di scombinare i pensieri di chi un giorno, magari, li leggerà.
Sulla copertina di ciascun taccuino lui verga a mano mese e anno: una sorta di bussola per orientarsi tra ricordo e prospettiva.
Adesso la sua testa è un po’ inclinata a sinistra. Ha le gambe accavallate, le labbra strette e quattro dita della mano sinistra a tenere il foglio, aggrappate a quella pagina come se, sull’orlo di un dirupo, quella fosse l’unica via di salvezza.
Lui scrive e io contemplo. Non il suo profilo, non stavolta, ma lo sfrontato susseguirsi di tetti e campanili, vicoli e comignoli su cui affonda il sole nell’attimo di quel tramonto trionfale.
Sotto la pioggia, al cospetto di Matera, abbiamo trovato riparo tra le rocce e atteso in silenzio che l’azzurro del cielo tornasse a scompigliare frange di nuvole.
Le note di Ennio si sollevano quiete (grazie Maestro) e le lacrime montano inesorabili.
Ci siamo ritrovati.
Profughi, scarmigliati e avvinti dalla malìa delle nostre dita che si intrecciano. Venticinque anni di vita sono trascorsi da quell’Arcodamore. Il tempo di noi due lontani, divelti ma in fondo mai soluti.
I suoi occhi scivolano rapidi, su e giù tra il foglio e la città dalle mille lucette gialle che si sono accese, dolci e sornione, a puntellare uno sfondo che pare di velluto.
Non una parola, nessuno sguardo.
Affido a questo racconto l’incanto di un istante, prezioso come una carezza che percorre le tempie tenendo il ritmo del cuore.
Parlo del vento leggero che gli scompiglia i capelli, della luce dorata che gli illumina la fronte, del sorriso grande che si allinea all’onda d’argento tracciata sulla sua barba.
Parlo di me che adesso non ho più le vertigini.
Parlo dell’uomo che mi ha rimesso a posto il respiro, lasciando finalmente Psiche e Cupido liberi di sorridere insieme.
Autore: Debhorah Di Rosa
Dipinto: Milena Nicosia