Daddy

Tengo ancora salvato il tuo numero in memoria, quello stesso numero che tutte le mattine squillava solo per dire “tutto bene?”. Ho ancora vivo il ricordo dell’ultima telefonata e quello del tuo abbraccio il giorno della laurea. Ho ricostruito il tuo vissuto e scoperto che sei stato un uomo che in tutti ha lasciato la sua traccia.

Da quando, giovane sindacalista, affrontasti le lotte per i diritti dei lavoratori in una Sicilia sempre in balia dei tronfi potenti e dei ciambellani serventi, a quando, orgoglioso e determinato, scalasti posizioni fino a diventare, ormai uomo maturo, il segretario provinciale dei pensionati della CISL di Siracusa. Una vita al servizio del più debole, un’esistenza che ti vide giovanissimo, orfano di padre, affrontare sin da subito le fatiche della salita solitaria e dell’abbandono privo di consolazione. Una vita dedicata agli altri, sì a tutti gli altri. Ne abbiamo un po’ pagato lo scotto in casa, spesso disarmati di fronte alla tua rigidità, alle tue arrabbiature, alle tue assenze. Sapevamo che era tutto per una buona causa: la tua. Pensa, è solo attraverso i racconti accorati dei tuoi colleghi e dei tuoi amici che ti abbiamo riscoperto giovane con i giovani, anziano con gli anziani, donna con le donne, con una parola ed un impegno buono per ognuno. Il tempo ci ha visti Insieme vivere l’emozione delle manifestazioni di piazza, subire lo sfottò avverso, e poi le parolacce durante le riunioni al sindacato ed i litigi ognuno arroccato nelle proprie convinzioni. A confronto, il mio atteggiamento di sfida verso uno status quo insostenibile e la tua visione disincantata e pragmatica sulle cose e suoi fatti. Un insegnamento continuo per me fatto di esempio, costanza e poche parole. Il tuo unico vezzo? La cravatta sempre differente, una al giorno, per un verso riscatto sociale, per l’altro, egoica rappresentazione di stile e rigore, l’eleganza che non cede il passo alla sconfitta e al compromesso: colore mentre attorno è notte fonda e inciucio. E quante ne hai viste in sessant’anni di esistenza, quanto sangue andato a male, quanto silenzio e solitudine. Avresti potuto appoggiarti e non sentirti giudicato e quando l’hai capito è stato estasi e amicizia, una carezza soffiata, immersa fino al collo in ragionamenti spesso più grandi di noi. Il tuo vocabolario? “Ingiustizia”, “famiglia” e “Angelica”, la tua nipotina. Ricordo ancora i tuoi occhi pieni d’amore e di premure quando la stringevi a te, quando tra la gelosia e la felicità ti vedevo rinascere e proiettarti in avanti. Mi sembra di sentire ancora la tua voce severa farsi improvvisamente scanzonata, la tua risata, le lacrime rubate e silenziose di fronte ai sentimenti umani più semplici.

Ripenso come dentro ad un film l’ultimo viaggio a Bologna, la caduta, la ripresa e la ricaduta dentro un vortice maligno che non ti ha lasciato scampo. Eri innamorato della vita, attaccato alla tua esistenza. Ed è perdendoti che alla fine ti ho ritrovato quella mattina di maggio, quando bagnato fin dentro le ossa, mentre attorno erano lacrime ed acqua, in me maturava la consapevolezza che avresti avuto per sempre un posto speciale e vivo accanto a me. Ed è per questo che nel brindisi che segna inesorabile il ritmo degli anni mi capita di ripensarti presente per come ti ho vissuto: un caparbio figlio del suo tempo.

Autore: Salvo Garipoli

Dipinto: Mario Occhipinti