Il fiore della malacrianza

Al mattino mi sveglio presto, e quando mi alzo sono contento perché è giorno. Appena spunta il sole io lo vado a vedere. Lo faccio dal buco della finestra; vedo tutta la luce che traspare e mi viene ancor più il desiderio di farmi inondare. Questa luce mi lascia a bocca piena, la vorrei ingollare tutta io, come se fosse mangiare, come fosse un piatto che ti piace e che hai un’irresistibile voglia di consumare anche in piedi. E dopo la luce vedo la mattina che si sveglia: tutto prende vita e si muove. In un primo momento quasi mi confondo, poi, verso mezzogiorno, comincio a capirci qualcosa e a volte giro a zonzo senza capire veramente dove sto andando, dove sono andato prima e dove devo andare, tutto vestito pulito, proseguo cantando, cantando. 

Un giorno, tutte le strade e le stradine erano zuppe, una macchina passando mi bagnò con tutta l’acqua di una pozzanghera, sembrava quasi che avessero acceso una pompa dei vigili del fuoco. Questa cosa mi fece distrarre e cambiare strada e fu così che arrivai in un posto in cui non ero mai stato. Questo posto era pieno di fiori ammonticchiati. Domandai in giro dove fossi ed il perché di tutte quelle piante estirpate e abbandonate. Nessuno mi rispose. Solo un vecchietto, camminando, mi disse che quelli erano i fiori dell’arroganza e della malacrianza, e per questa ragione le persone li mettevano lì, in quel posto, per bruciarli. Un’altra anziana mi spiegò che se quei fiori, una vota germogliati, non fossero stati tagliati, sarebbero diventati alti alti alti: non curati crescevano lunghissimi, prima si tagliavano e meno crescevano. Aggiunse, addirittura, che una volta un tale partì e al ritorno li trovò così alti da non riuscire più a vedere né casa sua né il terreno di fronte. 

Di questi fiori, mi accorsi, che ce n’era uno che non era stato potato ed era cresciuto altissimo, così alto che non era possibile riuscire a vedere dove arrivava in cielo, le sue radici erano così lunghe che spaccavano la terra fino in fondo. Proprio in fondo dove batte il cuore del mondo, così profonde che lo avevano trapassato e gli succhiavano l’aria. Ma il cuore era più forte e continuava a battere incessante. C’era anche un punto dove la radice si era attorcigliata e si era fatto un nodo. Quello era proprio il punto cruciale per farne cessare la crescita infernale. Pensando di poterci riuscire cominciai a scavare, scavare, scavare senza fermarmi nemmeno per bere o per mangiare. La mattina mi alzavo senza guardare niente e nessuno, e continuavo a scavare, scavare e scavare. Passarono giorni, mesi e anni, e senza che me ne accorgessi, arrivai fino in fondo, proprio lì, dove batte il cuore del mondo. In fondo in fondo al buco tondo e profondo trovai una roccia tutta bagnata e, sopra, l’ultimo pezzo di radice sventurata. Con la forbice e con il coltello mi avvicinai per tagliarla, ma più mi avvicinavo, più si aggrovigliava e si nascondeva, fino a che, ad un certo punto, in un punto certo, da dentro al buco vidi due occhi grandi grandi, e una bocca piccola piccola, che mi disse con fare gentile: 

“Tutte le cose che sono definite, sugli scogli, negli anfratti e per la strada, hanno bisogno di un piede e di un dio che ogni tanto esaudisca un desiderio. Muoviti veloce che sennò non ti resta né il tempo né la forza di piantare i tuoi semi in un posto onesto dove le cose possano crescere presto. Offri tutto agli animali, canta come se non ti dovessero pagare, spalanca la porta sul viale e domanda alle porte come si impara a camminare. Dai fuoco, sangue, parla solo quando ti senti di farlo davvero, girati presto, ascolta sempre il tuo cuore e non la testa. Io non sono quello che sembro, non sono solo cattiva, tu che ne sai, di speranza! Ho dipinto l’ombelico, e se per caso riesci a fare per me qualcosa di bello, senza farmi arrabbiare, io ti lascio stare, ti faccio stare bene, ti faccio respirare aria nuova. Sono nata dallo sputo di un uomo cattivo che prima era felice, poi cominciò a pensare che l’umanità non servisse a niente, che non si potesse ottenere nulla di buono dal mondo in cui viveva. Perciò sputando, pieno di arroganza, piantò il seme del cuore ingrato. Ora che ti ho detto tutto ciò che so di me, aspetto che tu mi dia un cenno, guardandomi negli occhi. Voglio che mi levi questa maledizione, perché non c’è più ragione né sopportazione per tutto quello che sto combinando a causa dello sputo di un uomo cattivo che sapeva solo lamentarsi e riempire di tristezza tutto il mondo che prima di lui era felice”.

Non sapevo se sarei mai potuto uscire vivo da quella situazione. E con le forbici iniziai a dare il primo colpo, poi il secondo, fino a sradicarla tutta quella radice. Poi me la misi nelle mani. Lei non piangeva, non si muoveva, mi disse solo che voleva che, una volta uscito da quel fosso, andassi a piantare quella benedetta radice infernale in un angolo regale, affinché potesse rinascere e guardare il mondo con occhi normali. 

Cercando di fare in fretta, misi la radice nella tasca e risalii dal fosso con i piedi stanchi, infaticabile; passarono giorni, mesi e anni, e finalmente, senza che nemmeno me ne accorgessi, arrivai a vedere la luce sopraffina del mattino, e, uscito dal fosso, la radice prese vita, muovendosi e ballando, fino a che, a un certo punto, uscì dalla tasca in cui l’avevo posta e si piantò perfettamente su di una montagna alta alta. Senza fare troppi complimenti, si attaccò al terreno e, con un mio sputo, un po’ di acqua e vento di scirocco, la pianta dal cuore sporco e dal colore scuro diventò chiara chiara come una luce rara. Passarono giorni e diventò luce per le brave persone, sapore acre per le persone avare, sapore aspro per tutti quelli che non vogliono bene. Era un fiore profumato e bello, ed era tutto felice di essere stato piantato per la seconda volta. E non mi sbaglio se dico che anche il mondo quel giorno faceva festa. 

C’era una volta una radice lunga lunga, che viveva sotto un fosso. Era cattiva ma si immaginava ogni giorno la luce che splendeva la mattina, era cattiva nei pensieri che adesso, invece, profumano di rose e mele. Si pulì il pensiero e con acqua, sputo e vento, tutto cambiò. Come le cose vengono trasformate, anche le più brutte possono essere cambiate. C’è sempre una porta da aprire in ogni situazione così da far entrare il vento che porta cose nuove. Le cose nuove sono anche le vecchie, queste sono le strade delle porte aperte, le porte del cuore, perché è di questo che sto parlando.

Autore: Maurizio Battista

Dipinto: Claudia Clemente