Un grande carrubo

Un grande carrubo, dal tronco robusto e rugoso, dai lunghi rami carichi di verdi foglie, quasi appoggiato al muro di confine con la vecchia mulattiera.

Fu lui, immenso e solitario, a farti scegliere, tra i terreni a disposizione, quello su cui avresti fatto costruire la casa dei tuoi sogni.

Lo scegliesti fra tanti, per la sua forma e per le sue dimensioni o forse per la sua posizione, o forse fu lui a scegliere te, toccando il tuo cuore.

Ti somigliava quel grande carrubo, anche tu eri alta, alta rispetto alle tue coetanee, alle tue sorelle. Eri alta e forte e camminavi sempre e nonostante tutto, spalle larghe e testa alta.

Anche se la vita ti metteva a dura prova, vincevi sempre e comunque tu!

Forse era il nome che portavi, importante e significativo, che ti ha trasmesso, tutta questa forza: Maria Occhipinti, proprio come l’eroina ragusana del ‘non si parte’.

Credo probabilmente tu l’abbia conosciuta, ma io non pensai mai di chiederti…

Sposa bambina, avevi appena sedici anni e da lì a poco, ti sei ritrovata a cullare tuo figlio, invece delle bambole. Ti sei ritrovata a fare i conti con una vita che di certo non era quella che sognavi.

Cresceva bene il tuo bambino, ma un ciclone stava per investirti e tu, ignara di ciò che ti avrebbe provocato, sembravi andargli incontro, piuttosto che scappare o ripararti.

Nacque il tuo secondo figlio, un angelo a detta di tutti. Troppo bello e troppo reattivo, rispetto ai bambini di allora, ma la natura non fu clemente né con lui, né con te. Una spina bifida te lo portò via… quasi subito!

La terza gravidanza ti regalò una bambina e, poco tempo dopo, il tuo primogenito: Angelo, entrò in coma, i medici non sapevano darsi una spiegazione. Undici lunghi giorni di delirio e di disperazione, ma poi il sole tornò a risplendere.

Il sogno di una vita migliore te lo leggo negli occhi, nelle tue foto da ragazza, in quella del tuo matrimonio, che poi risultò un disastro, proprio come il mio.

Il lavoro da infermiera, che dovesti intraprendere e che svolgevi con passione, fu il riscatto e la svolta della tua vita. E anche in questo, ti somiglio…

Quel carrubo solitario vide materializzarsi il tuo sogno, vide crescere mattone su mattone la casa che volevi, dalla quale potevi vedere il mare, senza avvertirne l’umidità. Grande abbastanza da contenere i tuoi figli e i tuoi nipoti e la tua adorata sorella con suo marito, che contribuì fattivamente alla realizzazione del tuo sogno.

Per prima cosa ci portasti tuo padre debole e infermo, volevi la sua approvazione!

Che fatica per papà e lo zio portarlo giù dal terzo piano senza ascensore, per poi riportarlo su, poco dopo. Qualche mese più avanti, lui salutò questo mondo, augurandoti ogni bene.

Da sola o in compagnia ti recavi spesso anche in inverno, nel tuo nido, e ci avresti voluti sempre con te, tutti insieme, come le domeniche d’estate, dove il protagonista era sempre lui: il carrubo secolare che ci faceva ombra durante il pranzo all’aperto e sul quale lo zio aveva costruito un’altalena.

Ti piaceva la compagnia, ma il rumore del silenzio e della solitudine non ti ha mai disturbato.

Poi ti sei ammalata e lui con te…

Le rughe sul tuo volto aumentavano e i tuoi occhi si facevano sempre più piccoli e stanchi. Quella febbre che non passava mai, lentamente ti consumava, la tua voce si affievoliva.

Anche il carrubo sembrava soffrire insieme a te… le fronde si diradavano, il tronco sembrava sempre più fragile.

Ti sei spenta il trenta dicembre e non ci hai dato il tempo di venirti a salutare un’ultima volta, ma il carrubo sì, lui lo abbiamo salutato. Prima di andare via, mia figlia, come animata dai miei stessi sentimenti, ma più libera dalle gabbie del contegno per il giudizio degli altri, è corsa ad abbracciare il suo tronco e vi ha lasciato cadere dentro una tua fotografia, perché tu per noi sei ancora e per sempre lì, vivi con lui e in lui, anche se, quello che era stato il tuo sogno, per via di alterne vicende, adesso… è il sogno di qualcun altro!

Autore Luana Pluchino

Dipinto Adriana Iacono olio su tela cm. 40×50