Qualche volta accade proprio che la vita decida di farti un regalo.
Apparentemente è una giornata come un’altra, di quelle che in agenda non richiedono grandi sforzi e sui cui onestamente non c’è nemmeno nessuna aspettativa.
E’ in realtà un pomeriggio estivo al calante. Mi sorprende non poco la cornice. Sono una invitata tra tanti, mescolata nel pubblico in modo assolutamente anonimo. Qui nessuno mi conosce. Qui nessuno sa di me, né sospetta quali siano le note della mia anima. Sono solo la figura femminile che accompagna qualcuno, oramai potrei dire stabilmente. E questo basta per definirmi. Mentre silenzioso il mio mondo sta.
Proprio allo svanire del sole, in quel preciso istante in cui la notte fa capolino col suo turchino sulla pietra rosa dove tutto si svolge appare lei tutta vestita di bianco. Che a dirla così potrebbe sembrare una sorta di madonna o una qualche dea.
E’ elegantissima, sicura di sé e sorridente. Ha una presenza scenica importante, sa stare sul palco, conosce o deve conoscere bene le regole della prossemica e soprattutto sa usare la voce, risultando estremamente spontanea e qui inizia la sua magia.
Fa comparire dal nulla, come da un cappello a cilindro parole che non sono solo parole ma tratto vibrante di colore, che immediatamente più del suono ti immerge dentro tutta una storia in dettagli.
Non è la semplice fotografia di uno stralcio di vissuto che prende forma e si può toccare e sentire e poi perfino leggere. E’ un sentimento intimo che abita e accomuna tutti i presenti, indistintamente seduti al di là del palco. E’ qualcosa in cui ci si può specchiare e riconoscere, che si fa strada e si trasforma, una migrazione di parole che scontorna e la storia si fa delicata, il personaggio è persona. E non è più il racconto di un individuo a caso, ma di una chi ha lasciato dentro di te un’impronta indelebile. Fragili o eroi non importa.
Il calcestruzzo dell’anima dove si è posata questa impronta come digitale queste cose le sa benissimo, sa chi ci ha toccato dentro cambiandoci per sempre. E quella voce mi si fa strada tra la gola e il petto, sobbalza e risponde dopo un anno preciso a quella richiesta nata sul palco come un’esigenza. Io partecipo.
Di lei so pochissimo. Non la conosco in fondo, non so nulla a parte il fatto che sa parlare bene in pubblico, che è una professionista e che ha degli abiti pazzeschi. Non so quelle cose minute che fanno da sfumatura e ti consentono di poter dire è mia amica, la conosco bene. No. Io ho solo un’immagine di lei sul palco con una precisa richiesta. Richiesta che per altro cade in un momento della mia vita in cui tutto è sottosopra, l’ordine delle cose è andato a farsi benedire e rimettere a posto la curva del mio arcobaleno mi ha richiesto coraggio e tanta fantasia, uno slancio che non avrei mai saputo da dove trarre. E’ inutile arrivano poi i momenti di touchdown, accadono a tutti, e a me hanno insegnato che le parole possono tanto. E non è vero, o non sempre, che un cuore affranto non si curi con l’udito.
Le parole ci cambiano, le parole ci formano, le parole sono di un materiale magmatico e indefinito che plasma il pensiero, che poi si fa azione. E l’azione dirompe nella realtà costruendola.
E lei voleva parole.
Le ho fatte cadere dalle dita come fossero una pioggia proveniente dalle mie memorie bambine e da certe segrete ricette che profumano di pasta della domenica e tovagliato buono di fiandra, di lettere di un amore segreto e gesso su una lavagna in una scuola improvvisata, scalcinata.
E gliele ho affidate.
Non lo sapevo e non mi aspettavo che su quel palco l’anno successivo a quella sua richiesta ci sarei stata io. Avrei vinto io. Cosa?
Una meravigliosa penna con un’unica ricarica fatta da una premessa come imperativo categorico: SCRIVI.
Io che non solo non me l’aspettavo, ma che tutta quella luce colore oro sul palco che mi si posava addosso non era una carezza era una sorta di benedizione di una qualche stella che mi autorizzava a credere che i sogni si possono realizzare.
Si possono realizzare quando sei col vento contrario e non c’è un solo elemento che ti faccia supporre in una buona riuscita di un qualche affare. Quando il lavoro non gira come dovrebbe, quando subisci un tiro sinistro e gobbo a cui non si è mai preparati abbastanza, quando le incertezze sono tante e tutto è troppo approssimativo, inconsistente e sfuggente ti arriva proprio una voce narrante che a cuore aperto dice la sua verità senza orpelli, senza vergogna, senza filtri.
Siamo fatti di storie e le storie ci salvano.
Ti dice che è partita da zero clienti e che l’unico che avesse era il fratello non pagante. Ti dice che parlare non era proprio il suo mestiere. Ti dice che era partita da un punto che oltre di lì non si poteva più andare. Ti dice che cosa è essere madre. Ti dice cosa è essere rimasta Sola. E poi in ripresa con la forza che solo un aeroplano al decollo ha. E un aeroplano al decollo ne sfida e ne sovverte di leggi della “termodinamica”, in una sinfonia e architettura di precisi equilibri. E poi continua a dire. E ti dice cosa è poi essere donna e professionista e sognatrice, tutto insieme.
Ma ti dice non è la formula corretta. Te lo fa proprio vedere. E diventa faro. Esempio tangibile.
Diventa le mani di chi sostiene un apparente impalpabile velo su un tappeto azzurro lungo una navata trapuntato di progetti di vita, il cuore candido di una sposa che tutto crede. Possibile.
Eh si capita davvero che un giorno la vita per caso ad agosto decida di farti un regalo: una FataMadrina.
Autore:Elisa Cilona
Autore: Milena Nicosia acrilico su carta Toscana 450 gr. cm 50×70