Tra sorrisi e fiocchi che incorniciavano una culla impreziosendola, venne alla luce Giorgia. Quel giorno tanto atteso rappresentò per Carlo e Luisa il coronamento di un sogno, una dolce creatura dal volto innocente riempì i loro animi di gioia. Gli affetti e le pappe la fecero crescere sana e serena. I suoi occhi lasciavano trasparire un’animo ingenuo e fiducioso nei confronti del mondo. Le risate con i compagnetti di scuola, i compiti svolti, i giochi con il fratello scandivano momenti di un normale decorso di vita e tutto lasciava presagire che lei sarebbe stata una donna felice. In quel corpicino esile cresceva un’animo buono spogliato dalla cattiveria e dall’egoismo finchè un giorno, nella stagione più bella della vita, sbocciò ne suo cuore il fiore più bello “l’amore”. Come tutti gli adolescenti nemmeno lei fu immune dall’incontrastabile fascino di questo sentimento. Cominciò a curare la pettinatura, il trucco leggero attorno ai dolci occhi per rendere più piacevole il suo aspetto e anche l’abbigliamento veniva scelto con cura. Il suo fidanzato era diventato un pensiero ricorrente, la sua immagine le appariva ripetutamente e fissa durante le sue lunghe giornate come per dare ad esse un senso. Sognava Giorgia e custodiva nel suo cuore come in uno scrigno le sue emozioni più belle, come gioielli preziosi, come perle rare che avrebbero adornato la sua vita futura. Le scivolavano attraverso i pensieri, le dolci carezze delle sue mani, quelle mani che gli infondevano sicurezza e anche l’aria sembrava diffondere il suo profumo come fosse proprio lì accanto a lei nei momenti più tristi quando si sentiva brutta e inadeguata. “Cosa c’è che non va tesoro?” le disse quel giorno la mamma. Lei prima del marito aveva intuito che qualcosa stesse cambiando nella vita della sua piccola. “Tranquilla mamma, va tutto bene!” rispose tra singhiozzi e lacrimoni che le sgorgavano come gocce di diamanti. Piangeva per lui, soffriva per la sua assenza, per i dubbi che le attanagliavano il cuore riguardo la sincerità dei suoi sentimenti.
Quel mattino Giorgia indossò frettolosamente i jeans e le scarpe da ginnastica ben ripulite. Ripose sul letto tre magliette per poter scegliere quella che a lui sarebbe piaciuta di più, pettinò i capelli, nascose frettolosamente nello zainetto i cioccolatini da lui preferiti ed indossò un leggero giubotto primaverile. Voleva che quel momento fosse magico perché era ciò che avrebbe reso quel giorno una favola. “Ciao mamma, ciao papà vado a casa di Giulia, mi ha invitata a fare colazione insieme, a dopo.” “Va bene, stai attenta!” rispose il padre come era solito fare.” Salutaci la tua amica.” aggiunse la madre. A Giorgia dire quella bugia le era costato tanto ma sapeva che se avesse detto la verità i suoi l’avrebbero sicuramente ostacolata. Era un momento tutto suo, suo e di lui, il ragazzo che amava e del quale si fidava ciecamente. Alle dieci e trenta del mattino scese frettolosamente le scale come a voler ingoiare quei minuti che la separavano da Enrico. Il tintinnio delle zip dello zainetto sembrava accompagnare i suoi passi che avanzavano, all’unisono con i battiti del cuore. Era lì dietro l’angolo che l’attendeva con il suo scooter di colore nero. I capelli arruffati, gli occhi coperti da occhiali da sole quasi a voler nasconderne il rossore e il casco in mano trasmettevano la sua intenzione di voler passare inosservato agli occhi di chi avrebbe fatto accesso a quella strada. Accennò un mezzo sorriso spento e dandole un bacio sulla fronte la invitò a salire dietro. Lei sentì il cuore in gola, una scarica di adrenalina attraversò tutto il corpo e dopo essersi guardata intorno si avvinghiò a lui come fosse un principe azzurro sul suo maestoso cavallo. “Stò per vivere la mia favola!” pensò. Era la prima volta che si allontanavano insieme dalla città e nessuno né sapeva niente, per cui la invase un senso di colpa per ciò che sarebbe potuto accadere ma ben presto esso svanì. “Sono con lui il ragazzo che mi ama, nulla di grave potrà accadermi” pensò.
I jeans e le scarpe di Enrico erano poco pulite e davano l’idea che il ragazzo fosse trascurato. Le aveva parlato dell’atmosfera pesante che si respirava da tempo nella sua casa. I genitori litigavano spesso e la madre trascorreva molto tempo fuori trascurando i figli. Fin da piccolo aveva assistito a scene di violenza da parte del padre quando con voce arrogante insultava sua moglie e la picchiava. Le aveva raccontato anche di tutte quelle volte che si era nascosto sotto il tavolo per tappare le orecchie quasi a voler smorzare i pianti di lei che gli risuonavano in mente seguiti dal rimbombo della porta che il padre sbatteva violentemente per uscire di casa a causa dell’ennesima lite. Enrico aveva ricevuto un esempio falsato dell’amore che si discostava completamente da quello trasmesso a Giorgia che era vissuta in un contesto dove vigeva il senso del rispetto e della solidarietà. Il vento primaverile le scompigliava i lunghi capelli neri che uscivano dal casco che lui le aveva prestato mentre un tiepido sole le riscaldava le mani fredde e sudate che stringevano amorevolmente il suo addome. “Dove andiamo?” gli chiese con voce intimorita. “In campagna, in un posto bellissimo!” rispose lui “vedrai ti piacerà”. Terminata la strada provinciale ne imboccò una sterrata circondata da alberi secolari vestiti di nuove fronde e fiori di campo profumati che ne segnavano i confini. Il tepore della primavera rafforzava in lei una voglia di libertà, quella libertà che si era regalata quel giorno all’insaputa di tutti. Nulla le avrebbe fatto immaginare che sarebbe accaduto qualcosa di grave. Man mano che si inoltrarono nella campagna un senso di angoscia cominciò ad invadere il suo cuore e tra cumuli di rifiuti e un suolo pietroso si mostrò alla sua vista un vecchio casolare diroccato. “Torniamo indietro” disse lei “Questo posto mi incute paura, voglio andare a casa, ti prego!” replicò con voce tremolante.
“Non è possibile.” rispose Enrico “Ormai è troppo tardi per te invocare aiuto”. Mentre stavano dialogando si fermò e la invitò a scendere quando ad un tratto uscirono da quel rudere altri ragazzi che si avvicinarono a lei accerchiandola. Incuriosita cercò di dare un significato a quanto stesse accadendo, rivolse lo sguardo verso Enrico ma la sua espressione le sembrò compiaciuta per ciò che gli altri stavano per fare. A quel punto cercò di scappare ma fu invano, il branco era entrato in azione e nessuno poteva fermarlo. Quel luogo era deserto, circondato da un silenzio surreale, da uno scenario dove stava per consumarsi l’ennesima tragedia. In quell’istante pensò i suoi genitori che ignari di tutto l’avrebbero aspettata all’ora di pranzo, pensò a quanto avrebbe voluto dirgli con chi sarebbe uscita quella mattina. Come una serie di diapositive le scorrevano davanti agli occhi, quei pochi anni di vita vissuta e cominciò percepire la sensazione che forse da lì a poco sarebbe finita. Pensò anche che avrebbe avuto ancora tanto da realizzare ma a quel punto un grande senso di delusione frammisto a paura le annebbiarono la mente. Un ultimo sguardo verso il cielo come a voler invocare aiuto e subito dopo il suo corpo divenne oggetto di una serie di violenze fisiche e psicologiche di efferatezza inaudita. Quel giorno Giorgia non fece ritorno a casa. Il grido struggente della madre e il pianto soffocato del padre si sentirono rimbombare nelle abitazioni vicine. Un dolore sordo scosse le coscienze di tutti nell’apprendere che il suo corpo esile, indifeso e privo di vita venne ritrovato dopo giorni di ricerca. Con gli occhi spalancati e il cuore spezzato implorava pietà per non aver fatto nulla di male se non l’unico errore di aver amato.
“In questa società educhiamo i giovani al rispetto del valore della vita, perché la violenza contro le donne non è una questione di genere ma di parità di diritti e di dignità del genere umano”.
Autore: Mirella Spinello
Dipinto Milena Nicosia