Ormai Arual e Paolo avevano raggiunto la terza età: lei lo guardava, era lì che dormiva beato tra le lenzuola linde, ricamate da lei stessa, l’uomo di tutta una vita. Paolo aveva cinque anni più di lei… e i suoi ricordi incominciarono a navigare come in mezzo al mare, ondeggiando, con il sole e l’aria più piacevole in poppa.
Ricordava il giorno che lo aveva conosciuto: era stato sessantatre anni fa, un’intera vita. Era nel 1959, in un pomeriggio d’inverno. Avevano bussato al portoncino di casa, e aveva aperto proprio lei Arual, ancora acerba nei suoi tredici anni e sei mesi. Se li vide davanti quei due baldi giovani alti e belli, l’uno diverso dall’altro. Quello che la colpì all’istante era alto biondo con gli occhi verdi e una risata che gli entrò subito al cuore, si chiamava Paolo.
Lo reincontrò in un sabato di festa, una serata di fitto freddo invernale. Erano giovani, con l’adrenalina in corpo: nulla li avrebbe fermati tantomeno la neve che si sentiva nell’aria. Arual entrò nella camera da ballo insieme ai due fratelli Rocco e Ciro, era gremita di invitati curiosi. Subito i suoi occhi si riempirono di gioia vedendo Paolo che metteva i dischi. Accortosi della sua presenza Paolo si fece sostituire e si diresse verso di lei per invitarla a ballare. Fu un vero colpo di fulmine quello che trafisse all’istante i loro cuori. Ma fu anche l’inizio di un vero calvario esistenziale: fin da subito il fratello Ciro si dimostrò geloso come Otello, troppo protettivo nei suoi confronti, benché la sorella fosse ancora adolescente. E così da quel giorno iniziarono delle vere e tristi incomprensioni, con lui che le negava di godere quell’amore limpido, genuino come l’acqua di un ruscello.
Il fidanzamento di Arual e Paolo fu fatto di sorrisi, sguardi da lontano, bigliettini e lettere d’amore. Tra alti e bassi durò cinque anni, cinque lunghissimi anni, durante i quali a causa della prematura morte della mamma a soli 47 anni per un tumore, Arual aveva preso le redini di casa con quattro fratelli da accudire. Tale situazione perdurò fino al punto che i suoi nervi cedettero. Nessuno seppe di quell’accaduto… Arual aveva paura di parlarne persino con le sue sorelle. Oltretutto soffriva anche di “agorafobia”, o forse erano attacchi di panico, fatto sta che quando si trovava in posti affollati o chiusi si sentiva soffocare, tanto da avere dei veri svenimenti. Fu sul punto di tentare il suicidio, così Arual fu presa sotto protezione dalla zia Katia.
La sua vita non era stata semplice, l’abitazione della famiglia di Arual era in una camera grande al primo piano: compreso il solaio, nella camera dove abitavano c’erano più letti che mobili, in un angolo un lavandino ed il water, nell’altro angolo la cucina in muratura con forno a legna dove potevano cucinare e riscaldarsi nei lungi mesi d’inverno. Suo padre, invaghitosi di un’altra donna, scappò di casa, la mamma Annamaria morì di lì a poco, lasciando nel dolore tre figli già sposati e i rimanenti cinque figli ancora adolescenti. Quel lontano 22/09/ 1957 fu un giorno funesto per tutta la famiglia. Da quel giorno Arual dovette interrompere gli studi per fare la donnina di casa.
Tra incomprensioni e liti con il fratello, arrivò anche per Arual il momento di farsi fidanzata in casa: le visite di Paolo in famiglia non erano del tutto gradite, e spesso i loro incontri avvenivano in casa dalla zia Katia, per evitare inutili gelosie. Un giorno, dopo l’ennesima sfuriata del fratello Ciro, Arual fuggì piangendo a casa della zia. Paolo era lì ad aspettarla. Quella sera si misero a ballare. Accanto al suo Paolo si sentiva felice, si cullava tra le sue braccia dimenticando tutti gli screzi subiti. Mentre ballavano un lento, Paolo le prese la mano portandola al cuore: “Tocca qui! Dentro la tasca interna della giacca c’è una grossa chiave. Ho già affittato una stanza dove andremo ad abitare. O vieni subito con me, o ti lascio e me ne vado: scegli!”
Arual era stupita e meravigliata, confusa e felice nello stesso tempo: lo guardò negli occhi, e colse tutto l’amore che Paolo provava per lei: la ragazza aveva sognato da sempre come tutte le fanciulle il vestito bianco, che per il destino avverso non aveva indossato né per il battesimo né per la comunione, a quel pensiero sì sentì confusa e addolorata per non poter realizzare il suo sogno almeno al suo matrimonio. Ma poi, decisa, rispose con un sì convinto, anche lei era stanca di quella vita. Era troppo innamorata del suo Paolo.
Lui soltanto aveva portato un po’ di luce nel suo cuore malato di affetto, di calore familiare. Arual non aveva mai conosciuto la spensieratezza della fanciullezza: mai un grazie per i suoi sacrifici. La fuitina avvenne nel 1964. A soli 18 anni e mezzo mentre Paolo aveva 23 anni: due ragazzi giovanissimi e allo stesso tempo con tanta esperienza di vita alle spalle.
La camera che li unì aveva un letto con il materasso ancora avvolto nel cellofan, attorno le pareti vuote, in un angolo un sottoscala con il water. Paolo aveva pensato a tutto, un amico portò la cena a base di salsiccia, pane e frutta. Erano digiuni d’amore, di carezze, di baci, avevano fretta di abbracciarsi: spiluccarono qualcosa e l’amore ebbe le sue priorità. Arual era ancora convalescente, sentiva il cuore batterle in petto quasi come a volerne uscire: lui la coccolava spaventato, tanto che l’atto amoroso non fu consumato, né la prima né la seconda e nemmeno la terza sera… Solo dopo il terzo giorno, finalmente, poterono abbandonarsi all’amore assoluto, tanto sospirato.
La vita insieme a Paolo era stupenda…In quel piccolo nido d’amore, erano felici anche se nei primi giorni pranzavano seduti ai piedi del letto e per tavolo avevano un grosso pacco di cartone. A loro non importava niente, erano felici così, con il tempo tutto poteva completarsi, quando c’è l’amore tutto il resto è noia… La convivenza con Paolo durò soltanto tre mesi: il tempo di sbrigare le carte. Un giorno alle sette di mattino si sposarono nella Chiesa Madre dello stesso paese. Nel 1964 chi faceva la fuitina erano penalizzato: la sposa non poteva indossare l’abito bianco, non essendo più vergine; Il bianco era segno di purezza e Arual non era più pura. Era la legge della Chiesa. Dovette mettersi un tailleur color verde muschio mentre Paolo indossava il classico vestito grigio topo e camicia bianca con cravatta grigio perla…Lui sì era bellissimo. La cerimonia non si svolse nell’altare maggiore com’era di consueto, ma in un altare a destra della navata meno appariscente, che in realtà ad Arual piaceva di più perché raffigurava il Cuore di Gesù. A Paolo e Arual importava solo che fossero entrati in grazia di Dio.
Arual era veramente una ragazza senza grilli per la testa, più matura della sua tenera età: la vita le aveva insegnato tanto, ma in amore era come un ciuffo di erba. Un giorno come tanti era in casa di zia Katia, con loro c’era anche una sua cugina, sposata e mamma di due bambini: le due donne parlavano del loro matrimonio, il discorso si fece intimo: Zia diceva sorridendo alla nipote più grande: “E voi quante volte fate l’amore?” Rosa rispose: “Non mi dire niente, mio marito non mi dà tregua, vuole farlo tutte le notte, anche quando sono stanca”, “e tu zia?”, “Lo zio è così focoso come il mio?” “Non così, ma almeno tre quattro volte la settimana, si”. E le due donne ridevano come matte. Arual sentiva tutto mentre metteva la legna a bruciare sul forno, era rossa come un papavero, quelle confidenze intime a lei portavano solo disagio. La cugina si rivolse a lei chiedendole: “E voi che siete sposini immagino tutte le sere…” La ragazza benché fosse di carnagione olivastra aveva le guance in fiamme, ma rispose ugualmente dicendo: “Bho! E chi le conta: una volta la settimana, a volte anche dopo dieci, dipende.” Le due donne rimasero stupite e in coro le ribatterono “Cosa…!? Ma siete sposini, da qui a quado sarete vecchi rischiate di non fare più l’amore, diventerete come fratello e sorella!”
Lì per lì Arual non ci fece caso, ma poi con l’andar del tempo capì che Paolo stentava di fronte alle sue effusioni amorose, fortunatamente, dopo appena 15 mesi di matrimonio diventarono genitori del loro primo figlio, di nome Gianni, dopo tre anni di un’altra bambina, Claretta e dopo otto anni della loro terza figlia Nellina.
I rapporti di Paolo e Arual andarono diradandosi sempre di più: oramai fare l’amore era diventato un’utopia. Paolo non volle fare mai un consulto medico: orgoglio di maschio siculo!
È in quelli anni che per Arual sopraggiunse la depressione: non aveva più voglia di niente e di nessuno, tutto quello che mangiava le faceva veleno, era giunta al punto di non poter ingoiare nulla; era come un fuoco che le partiva dallo stomaco e la faceva sentire malissimo tanto da non sopportare più nessuno, neanche la propria famiglia: oggi si potrebbe chiamare anoressia…ma nessuno dei medici confermò questa diagnosi. Forse era stata veramente solo depressa: la sua vita era stata da sempre molto complicata, aveva assunto un’esistenza che non le spettava, non si sentiva capita, né compresa, tutto ciò che faceva era criticato perché non era così brava com’era la mamma o la sorella. Fu un medico di Palermo a curarla riportandola ad essere la ragazza forte e volenterosa di sempre…
Come se non bastasse, Paolo prese una sbandata per una ragazza del vicinato che Arual riteneva essere un’amica… Anche in questo caso lei fece tesoro del detto della sua povera mamma: La miglior vendetta è il perdono. Suo marito fece un passo indietro per amore della famiglia, capì di aver sbagliato e promise alla moglie che non ci sarebbe più cascato.
D’altronde mai Arual pensò a pronunciare la parola “divorzio”, forse per mancanza di rispetto verso sé stessa, forse per ottusità. In cuor suo si ripeteva sempre le promesse matrimoniali: “Nella buona e nella cattiva sorte”. Lei ne aveva impersonato i veri valori, amava Paolo più della sua stessa vita, e mai e poi mai lo avrebbe cambiato per nessuno. Non avrebbe mai voluto privare i propri figli della figura del padre.
Molte volte gli giunsero voci su quanto Paolo ridesse con le donne, su come si fermasse a parlarci. Nei paesi le male lingue sono teatro, e gli affibbiavano continue nuove conquiste. Ma Arual sapeva che a Paolo piacevano le belle donne e parlare con loro era un suo vezzo, si lasciava scivolare quelle insinuazioni. Arual amava il marito: la loro unione era basata su lunghe chiacchierate, erano amici compagni di letto meno che amanti. Ogni decisione era sempre condivisa con il marito che riteneva la sua forza di gravità permanente.
Aveva superato più della metà della sua vita Arual e un giorno a causa di un’ulteriore emozione, incominciò a scrivere. Fu una benedizione dal cielo; dopo tante sofferenze Dio le volle dare un’altra possibilità…solo allora capì che aveva il dono della scrittura e quel dono era stato sempre represso dalla sua vita sempre in cerca di sogni, mai realizzati. E così venne l’ascesa. Vinse tanti bellissimi premi letterari, sia di poesia che di narrativa. Arual, che non aveva mia avuto il tempo di sognare, in tarda età aveva cominciato a volare, da autodidatta, senza un titolo di studio, ma tanto amore, tante emozioni da donare e da raccontare.
Paolo e Arual festeggiarono il loro 50° anno di matrimonio sempre in sintonia, con gli amici e i parenti, già nonni di cinque bellissimi nipoti. A nessuno mai venne in mente che la loro unione era soltanto per amore e non per sesso.
Aural, statua di sale lo era sempre stata, ma il sale lei lo metteva sempre sulle pietanze e nella vita, anche se era da sempre impietrita nel profondo. Al suo fianco il suo uomo aveva ormai passato gli ottant’anni e lei 76: lo guardava sempre con quell’amore che li aveva distinti da tutti.
Ora di anni di matrimonio ne avevano compiuti 57… l’autunno era ai loro piedi, ma l’amore e i continui battibecchi, il loro sale, era sempre vivo e presente. Una cosa sola desiderava Arual, guardando il suo uomo dormire al suo fianco, che la loro fine fosse così: mano nella mano fino all’eternità.
Dipinto: Simone Favero