Storia di una poltrona

C’era, c’è ancora oggi, una bambina nascosta, esposta ad un vivere lento, polveroso, rannicchiata si penserebbe sopra, no, dietro, dietro una poltrona dal velluto damascato, color oro, lustra, senza un velo di polvere, solo il pulviscolo, come micro coriandoli, a farle compagnia.

Di notte una scatolina simile ad una casetta le si presentava in sogno, ogni notte, per più notti, molte, troppe. Perché quella scatolina? Perché quel girare? Un movimento vorticoso a dispetto della lentezza della vita della bambina.

Il vivere dimenticato dietro la poltrona è durato a lungo, in un’attesa sospesa tra i giochi di luce, luce filtrata dalla tapparella rigorosamente a metà, non serrata. Al di là, solo palazzi di otto piani della periferia Romana.

Quel vivere non è mai morto, si è cristallizzato nell’immagine vista a fatica dalla bambina negli occhi di certi adulti, distratti, dagli occhi che riflettono e non permettono compassione, che infrangono i sogni piccoli, li deformano come possono fare solo cocci aguzzi di fragili bottiglie cadute a terra. Sono così certe esistenze.

Forse, questa è la storia della poltrona dall’articolo determinativo che esalta quella individualità, impropria per un oggetto, e di una bambina dall’articolo indeterminativo, come indeterminate sono le vite, quelle vite, di quei bambini indefiniti, portati alla luce ma destinati alla penombra di una poltrona.

La poltrona, custode silenziosa e maestosa della paura di crescere soli e mano invisibile capace di manovrare il girare vorticoso della scatolina.

La scatolina di una bambina, di Electra, la bambina dal nome, a sua insaputa, presagio di vita.

Elektra, Ηλεκτρα,, dal greco , “ splendente”.

Autore: Elettra Castelli

Dipinto: Milena Nicosia