Questo è un racconto che parla d’amore, ma non ci soffermeremo a raccontare un amore passionale, né tantomeno possessivo, platonico, idealizzato, non corrisposto.
Ci sono diverse categorie d’amore, ma l’amore più bello di cui questa storia si farà portavoce è quello inconsapevole dell’adolescenza, che arriva senza che tu te ne accorga, e se ne va senza avvisarti, senza dolore o inquietudine…
Arriva come un temporale in primavera, ed evapora in tante goccioline, come la pioggia sugli argini delle risaie, mentre le rane gracidano, le libellule svolazzano al tramonto e la vita del mondo prosegue senza fretta.
E proprio a quelle latitudini, non lontano dalle stesse risaie che in primavera si trasformano in vasti specchi d’acqua a riflettere il verde del carpino e delle betulle, che si svolge la nostra storia.
La Professoressa Rocca, insegnante d’italiano della 2C, entrò in classe e dopo aver salutato gli alunni con un grande sorriso materno e lo sguardo bonario, estrasse dalla borsa di cuoio marrone, consumata dai cicli scolastici, una copia del Decamerone e, aperto il segnalibro in un punto ben preciso del libro, disse:
- Oggi ragazzi, vi leggerò la novella di Andreuccio da Perugia –
Dopo gli iniziali commenti di disapprovazione dell’ala maschile della classe, la Professoressa si schiarì la voce e iniziò a leggere. - Andreuccio da Perugia, venuto a Napoli a comperar cavalli, in una notte da tre gravi accidenti soprapreso, da tutti scampato con un rubino si torna a casa sua […] E in questi trattati stando, avendo esso la sua borsa mostrata, avvenne che una giovane ciciliana bellissima […] senza vederla egli, passò appresso di lui e la sua borsa vide.
Fu proprio dopo aver terminato la frase che la Professoressa, riposti gli occhiali da lettura sulla cattedra, alzò lo sguardo e commentò: - Ragazzi, immaginatevi il giovane Andreuccio che all’improvviso si accorse di quella bella ragazza siciliana, con gli occhi grandi, scuri e profondi come la pietra lavica dell’Etna, e i capelli neri e setosi come quelli di Calipso… Insomma, una bella ciciliana come la vostra compagna Laura.
Fu solo in quel momento, quando tutta la classe si girò ad osservare la reazione di Laura, che per la prima volta dopo quasi due anni di scuola, mi resi conto che sì, in effetti la mia compagna aveva qualcosa di bello nel suo modo di essere, pur non sapendo ancora spiegarmi cosa.
Laura sorrise alle parole dell’insegnante, un sorriso raggiante che non lasciava per nulla intendere un tratto di vanità, ma soltanto una reazione spontanea che, a partire dai suoi occhi grandi e scuri, fino al suo sorriso grande e luminoso, lasciava intuire la sua indole espansiva, solare ed amichevole.
Dopo la lezione, come ogni mattina senza eccezione alcuna, al suono della campanella che scandiva la fine dei corsi, mi avviai di fretta lungo le scale in direzione dell’uscita della scuola, tutto concentrato a ritrovare gli amici con cui si rincasava a piedi nel quartiere, senza che si perdesse mai l’occasione di fermarsi davanti a casa del più alto di tutti noi e improvvisare una partita di calcio sulla strada poco trafficata antistante il cancello principale.
E così passarono molte altre giornate d’inverno, che ai tempi sapeva essere scorbutico, nebbioso e penetrante, finchè proprio nei giorni di Carnevale, ricorrenza piuttosto popolare in città, un compagno di scuola organizzò una festa di compleanno in cui tutti i compagni della 2C erano stati invitati: è proprio vero che gli anni delle scuole medie definiscono il passaggio tra l’infanzia e l’adolescenza e questa tesi non fece eccezione nemmeno per gli amici della 2C.
Come già accadde l’anno precedente, iniziata la festa, gli schieramenti prevedevano i ragazzi da una parte del grande salone a lanciarsi caramelle, schiamazzare e simulare scivolate che solo Paolo Maldini poteva eseguire meglio, e le ragazze dall’altra a formare un capannello indaffarato ad ascoltare musica e chiacchierare, spensierate e sorridenti.
Di tanto in tanto, guardando di sottecchi gli incomprensibili compagni intenti a dar prova della propria immaturità, a domandarsi quale fosse il più carino, il più simpatico o il più interessante.
Non ricordo bene come accadde, ma ad un certo punto con un paio di amici decidemmo di avvicinarci al gruppetto delle nostre compagne e iniziammo a infastidirle simulando improbabili danze e inseguimenti, minacciando di sommergerle di schiuma e coriandoli..
Fu così che senza nemmeno capire come, mi ritrovai a ballare con Laura quando proprio dallo Stereo si diffondeva la musica di Material Girl
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Quanto si divertiva e rideva di gusto, Laura, mentre tentavo di mascherare le mie dubbie capacità di ballerino improvvisando un’imitazione di Madonna nel video.
E così incominciammo a guardarci negli occhi e senza accorgermene finii per essere ammaliato come Ulisse da Calipso.
Continuammo a ballare e a scherzare e parlammo più in quel pomeriggio di febbraio che in tutto l’anno di scuola precedente.
Quando tornai a casa, disteso sul letto guardando distrattamente il soffitto, pensai di aver passato proprio una bella giornata, inaspettatamente bella considerando che ad un certo punto mi ero quasi dimenticato dei miei amici.
Altri giorni passarono tra una lezione d’italiano, un compito di matematica e un’ora di educazione tecnica in cui, nonostante tutta la buona volontà del nostro professore, anziché concentrarci sulla realizzazione del plastico della scuola, io e i miei amici passavamo il tempo a distrarre Laura e le nostre compagne dai lavoretti che avrebbero dovuto completare entro la fine dell’anno scolastico.
E così arrivò la primavera, le rane iniziavano a saltare da un fosso all’altro e l’odore dei campi ben preparati per la semina si diffondeva nell’aria tiepida.
Le nostre occasioni mondane restavano sempre confinate alle feste di compleanno, e di festa in festa, da bigliettino a bigliettino, ci ritrovammo in un ruolo inedito per entrambi, quello di “ragazzo e ragazza”.
Non ho mai capito, ai tempi, cosa cambiasse realmente nel momento in cui per intercessione dell’immancabile migliore amica e amico, si decidesse di comune accordo che da quel preciso istante si diventasse qualcosa di più complesso di un semplice amico o amica…
Il problema è che, da un lato i compagni si creavano aspettative sull’ipotetico sigillo di questa unione, dall’altro non si capiva bene cosa si dovesse fare per consolidare questa fragile relazione.
A questo proposito, Michele, il più documentato della classe, era un convinto sostenitore della famosa “limonata” che non si poteva certo accomunare alla famosa bevanda gassata che tanto ci piaceva ordinare al bar dei giardini.
Il caldo stava iniziando a fare capolino ma la Primavera si sa, è volubile come l’amore e anche nel mezzo di una giornata di sole, ci può sempre scappare un piccolo temporale.
E infatti, il temporale accadde proprio in un giorno di Maggio quando, invitati a casa di una nostra compagna che abitava non lontano dalle rane che saltavano i fossi, e le libellule che svolazzavano al tramonto, accadde che, senza preavviso o pianificazione, Laura ed io ci ritrovammo a camminare mano nella mano nel giardino di Lara proprio quando si sentì un forte tuono e all’improvviso incominciò a piovere.
Subito notammo il capanno di legno degli attrezzi e correndo più veloce possibile ci infilammo dentro per ripararci dall’acquazzone.
Eravamo bagnati e ci stringevamo forte, ridevamo e sentivamo il respiro dell’altro sempre più vicino finchè chiudemmo gli occhi e ci baciammo.
Accadde tutto un po’ così, all’improvviso, durò un attimo che sembrò infinito e al profumo di fragola, poi l’acquazzone cessò e ci incamminammo in silenzio verso la festa.
In quell’attimo di buio, sono sicuro che si sarebbe potuto sentire il rumore all’unisono delle nostre pulsazioni, sovrastare i tuoni e il temporale. Quando ci allontanammo delicatamente mi sembrò di aver letto nei suoi occhi il fondo del suo cuore.
Altri mesi passarono, ed arrivò l’estate, come ogni anno i campi erano allagati e con i compagni ci salutammo, ognuno in partenza per il proprio luogo di vacanza, al mare, o in montagna.
Qualcuno a dover far passare il tempo in città in attesa del Ferragosto democratico.
Quando tornammo in città a settembre, l’ultimo anno di scuola sarebbe cominciato, i campi ormai erano pronti per la mietitura e nell’aria si sentiva l’odore acre delle stoppie bruciate.
Laura ed io eravamo tornati ad essere semplici compagni di scuola, il temporale era passato e l’orizzonte era di nuovo sereno, il sole splendeva come il suo sorriso ed io ero tornato a giocare a pallone con i miei amici, e lei a chiacchierare con le nostre compagne.
Passò altro tempo, le scuole medie erano già dietro l’ultima curva, non frequentavamo più la stessa scuola ma continuammo ad incrociarci per le vie della nostra piccola città, scambiandoci qualche sorriso e fermandoci a parlare di tanto in tanto del più e del meno.
Un giorno, molti anni dopo, stavo camminando per le strade di Milano, che nel frattempo era diventata la città in cui vivevo, e per pura casualità incrociai lo sguardo con una donna, i cui occhi mi ricordarono quelli della ciciliana che la Professoressa Rocca aveva così bene descritto tanti anni addietro.
Non feci in tempo a rendermi effettivamente conto se la donna fosse proprio lei, Laura, poiché la vidi scomparire lentamente, quasi sospinta lontano dalla corrente di quel fiume brulicante di umanità che scorreva verso un immaginario appuntamento con il destino.
Sarebbe stato bello domandarle come stava e come fosse stata la sua vita in quegli anni in cui inevitabilmente ci eravamo persi di vista.
E invece alcune domande restano senza risposta e non c’è nulla che si possa fare per ottenerla.
Quella fu l’ultima volta che la vidi, che fosse sogno o realtà.
A distanza di qualche anno da quell’episodio, era l’inizio di Gennaio e da pochissimi giorni mi ero trasferito all’Estero con la famiglia, quando mi giunse una telefonata da parte di un caro amico dei tempi delle scuole medie: Laura era volata via, come una libellula al tramonto, proprio come nella nostra storia di poco fa..
E con lei era scomparso, nella nebbia del tempo che scorre, quel giorno caldo di maggio in cui le nostre vite si incrociarono.
Eppure, non è vero che quando la vita finisce non resta nulla: l’essenza di quello che siamo stati rivive e rinasce in forma diversa, le molecole e gli atomi si dissolvono in tutte le infinite volte che un gesto d’amore rifiorisce e si ripete incessantemente nella vita dell’umanità, un gesto d’amore ingenuo e inconsapevole come il primo bacio.
Autore: Federico Robotti
Dipinto:Simone Favero