Mi sono data una regola: mai rileggere diari, lettere e sfogliare vecchi album di foto. Le fotografie però continuo a stamparle perché gli attimi vanno resi tangibili contro l’imperante immaterialità cui l’odierna tecnologia ci condanna. Stringo in mano questa foto per uno scherzo del destino – le mie mani tremano – se infrangi una regola, ne paghi il prezzo. È un incontro inaspettato che mi restituisce fortissime emozioni, come quando giri l’angolo e vai addosso a qualcuno.
Lui sorride accanto a me, indossa una Lacoste nera, una mano poggiata sulla mia spalla e con l’altra tiene in mano la macchina fotografica. Gli occhi scuri, liquidi e limpidi, il sorriso aperto, buono, compiaciuto di chi ha la consapevolezza di essere bello e di piacere. Al suo fianco io, sorridente, dietro di noi una brutta casa abbandonata, davanti, un futuro tutto da scrivere per due ragazzi poco più che ventenni.
Ricordo quel giorno, l’avevo incontrato per caso e avevo con me la macchina fotografica – i cellulari non erano così diffusi e non avremmo mai parlato di quella foto come di un selfie. Avevamo aperto l’obiettivo, lo avevamo puntato verso di noi e avevamo scattato un’unica fotografia che avevo scoperto soltanto dopo la stampa, essere venuta benissimo.
Nel 2003 ho avuto un brutto infortunio, vivevo una condizione lavorativa iniqua con un capo che aveva bloccato la mia carriera. Lo stress generava continue gastriti e il medico mi aveva prescritto delle analisi. La mattina del prelievo a causa della debilitazione psico-fisica ero svenuta rompendomi il condilo mandibolare e i denti. Ero al tappeto, sconfitta e sola.
Ottobre aveva lasciato il posto a novembre e gli alberi iniziavano a perdere le foglie, mentre rientravo dalla visita di controllo maxillo-facciale avevo guardato fuori dal finestrino del bus urbano e pensato a Rosario. Ero tristissima, le fratture sarebbero guarite solo se fossi rimasta tranquilla, mandavo giù frullati e aspettavo in silenzio.
Ad ogni telefonata, riusciva a farmi ridere raccontandomi di parrucchiere innamorate, sue clienti, ma era arrivata prima la telefonata del mio migliore amico che mi diceva che Rosario aveva avuto un incidente stradale ed era morto sul colpo.
Quanto riesce ad essere crudele e ingiusta la vita? Rosario era bello e simpatico, un po’ “piacione” ed io ero affascinata da lui. Ero permalosa, orgogliosa e lui spensierato e divertente, mi aveva regalato un’audiocassetta con le canzoni di Vasco Rossi che aveva scelto per me e tra quelle c’era anche “Giocala”. “Corri e fottitene dell’orgoglio”, aveva riso divertito, compiaciuto dell’effetto che la sua scelta aveva prodotto.
Troppo grande il dolore, solo dopo un anno ero andata a trovare i suoi genitori, due persone piegate dall’inaudita violenza del destino. Racconto di te, sorrido e piango; a 50 anni tante cose sono cambiate, “corri e fottitene dell’orgoglio” mi diresti ed io, di fronte al mio destino segnato, corro, corro, corro più forte che posso.
Autore: Maria Zangari
Autore: Milena Nicosia